La filiera chiusa e il caso “Cappelli”: l’intervento dell’Antitrust.

Con un recentissimo provvedimento destinato a suscitare un acceso dibattito, l’AGCM (Autorità garante per la concorrenza ed il Mercato) ha sanzionato la Società Italiana Sementi (SIS), titolare del contratto di esclusiva per la moltiplicazione del grano “Cappelli”.
L’Autorità ha accertato in capo alla SIS l’illiceità di condotte commerciali sotto tre distinti e concorrenti profili contrattuali. In ragione di tanto, l’AGCM ha condannato la società titolare della licenza al pagamento di una sanzione amministrativa di complessivi € 150.000,00.
Il provvedimento sembra aver dato voce al malcontento degli operatori del settore dei cosiddetti “grani antichi” italiani che hanno guadagnato sempre più spazio sul mercato. Tra i più conosciuti, il grano “Cappelli” (impropriamente denominato “Senatore Cappelli”) che nella campagna 2017-2018 ha quintuplicato le superfici coltivate, passando dai 1.000 ettari del 2017 a 5 mila attuali (dato Coldiretti).

Selezionata nel 1915 dal genetista marchigiano Nazareno Strampelli presso il centro per la cerealicoltura di Foggia (oggi CREA Foggia), la varietà «Cappelli» nel 1969 veniva iscritta nel registro nazionale da parte dell’allora CRA, oggi CREA. È in questo modo che il Consiglio di ricerca in agricoltura vanta per legge la primogenitura su questo grano, molto apprezzato per le sue note aromatiche, la ricchezza in sali minerali e il basso tenore in glutine.

Il malcontento degli operatori nasce da vicende ben definite.

Nel 2016 CREA indiceva una procedura di selezione di licenziatari per la produzione e vendita a terzi delle sementi con previsione di unicità ed esclusività, quindicennale e valida per l’intero territorio UE. SIS si aggiudicava per 15 anni il contratto in esclusiva per la moltiplicazione del grano antico più famoso d’Italia. Tra CREA Foggia e SIS, dunque, si stipulava un “Contratto di licenza esclusiva per la moltiplicazione e la commercializzazione della varietà di frumento duro “Cappelli”: accordo che veniva successivamente modificato nel 2018 con la previsione di durata fino al 23 dicembre 2031. Oggetto della licenza era, dunque, la concessione esclusiva di moltiplicazione e sfruttamento commerciale per la varietà Cappelli cat. Prebase, Base, R1 e R2 e categorie di sementi prodotte contro la corresponsione di royalties da parte di SIS al CREA, sulla base delle quantità vendute. Vi è da aggiungere che, successivamente all’assegnazione della licenza, SIS costituiva apposita struttura commerciale interna e predisponeva un accordo – quadro con i consorzi agrari e si assicurava non solo la licenza di moltiplicazione ma, di fatto, tutti i diritti di sfruttamento del nome «Senatore Cappelli» sulla base della L. n.1096 del 1971.

Il meccanismo che si innescava portava l’agricoltore ad acquistare il seme certificato dal moltiplicatore autorizzato (SIS) acquisendo il diritto ad utilizzare il nome della varietà a fini commerciali; di contro la SIS, al momento della fornitura del seme, faceva sottoscrivere un contratto che obbligava l’agricoltore a cederle l’intera produzione ad un prezzo fissato dalla licenziataria. Un’operazione di ingegneria giuridica che ha disegnato e messo in esecuzione un vero e proprio “contratto di filiera chiusa”, rendendo SIS di fatto monopolista del grano antico più famoso d’Italia attraverso l’ingresso in un rapporto di filiera finalizzato alla sottoscrizione di contratti per adesione volti ad ottenere l’esclusiva sul raccolto a prezzi unilateralmente prestabiliti, senza alcuna negoziazione con le controparti.

A seguito di numerose segnalazioni e dei fatti esposti e di ampia istruttoria, l’AGCM ha, dunque, accertato che i comportamenti commerciali della SIS di fatto hanno violato le disposizioni a tutela della concorrenza e del mercato, così come previsti dell’art. 62 del D.L. 1 del 2012.

In particolare, l’Autorità ha individuato per ciascuna delle condotte elencate una distinta pratica commerciale sleale in ragione del significativo squilibrio delle rispettive posizioni di forza commerciale configurando la violazione:

  • dell’art. 62, co. 2 lett. c) e d), per quanto attiene l’aver subordinato la fornitura delle sementi alla stipula del contratto SIS di filiera con il conseguente obbligo di riconsegna del raccolto;
  • dell’art. 62 lett. e), per quanto attiene l’ingiustificato ritardo o rifiuto di fornitura delle sementi nei confronti dei coltivatori richiedenti e
  • dell’art. 62 lett. a) per quanto attiene l’aumento ingiustificato dei prezzi delle sementi.

Ciò che l’Autorità ha accertato è stato un significativo squilibro di potere contrattuale tra le parti, a causa della maggiore forza di uno dei contraenti (SIS); forza espressa nell’abilità di imporre regole tali da creare un monopolio rispetto ad un bene che precedentemente era nella disponibilità di più licenziatari collettivamente organizzati o riuniti in varia forma. Caso emblematico è stato quello di AlceNero dove l’Autorità ha accertato che l’azienda era costretta a corrispondere un elevato sovrapprezzo in favore di SIS addirittura per una intermediazione nella cessione della granella a terzi.

Le ragioni difensive esposte dalla SIS non hanno convinto l’Autorità che ha ritenuto di sanzionare con il massimo edittale le tre distinte condotte illecite; tuttavia ad oggi, si sottolinea che il provvedimento non ha ancora carattere di definitività, in quanto censurabile dinanzi alla Giustizia Amministrativa.

Si osservi come la distorta applicazione dello strumento introdotto con la Legge n. 289/2002 art. 66 (c.d. “contratto di filiera”) impedisca all’economia agroalimentare di decollare. Si rammenta, infatti, che lo strumento del “contratto di filiera” ha come obiettivo la promozione e collaborazione tra i diversi soggetti della filiera ed è finalizzato all’accrescimento dell’innovazione ed al conseguente accrescimento delle capacità competitive sul mercato.
La ratio dello strumento giuridico sta, dunque, nell’attuazione del principio di collaborazione tra pubblico e privato.

Nel caso esaminato dall’Autorità, dunque, lo strumento del “contratto di filiera” sembra essere stato evocato (e giammai applicato) dalla società sanzionata, pro domo sua. Il comportamento della società colpita dal provvedimento dell’Autorità, potrebbe svuotare il principio che anima la “filiera” che dovrebbe principalmente incentivare la collaborazione tra tutti i soggetti facenti parte della stessa, avvicinando i piccoli imprenditori a meccanismi che, se applicati correttamente, produrrebbero effetti virtuosi. La strada segnata dalla AGCM con il provvedimento emesso è, certamente, un segnale forte per tutti gli operatori del settore agricolo che potrebbero invocare interventi similari anche in altre vicende del bistrattato settore agroalimentare: lasciato privo di efficace tutela giuridica in un mercato sempre più dipendente dai desiderata di pochi soggetti forti ed organizzati nazionali e stranieri.

Eliana Baldo e Luigi Fino – Avvocati del Foro di Bari

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