Il caso delle pastaie di Bari Vecchia ormai ha valicato i confini e fa parlare persino il New York Times. Eppure per non disperdere la tradizione basterebbe davvero poco.
Basterebbe scindere il problema in 2 fasi: 1. Produzione 2. Distribuzione fase che, a sua volta, si scinde in altre due punti: 2a. Prodotti destinati al consumatore 2b. Prodotti non destinati al consumatore.
E’ già tutto scritto e tutto disciplinato.
La produzione della pasta fresca venduta senza imballaggi, ad esempio, è disciplinata dal DPR 187/2001 e ss.mm. e in particolare l’art. 9 consente la produzione di paste fresche e stabilizzate secondo le prescrizioni degli artt. 6, 7, 8 dello stesso decreto consentendo l’impiego di grano tenero, considerando il limite di acidità, prevedendo la vendita allo stato sfuso, regolando, in quest’ultimo caso, la temperatura prevista per la conservazione e, in caso di trasporto, gli imballaggi idonei ad assicurare un’adeguata protezione dagli agenti atmosferici con dicitura “paste fresche da vendersi sfuse”.
E’ la distribuzione la fase più complessa. Sì perché le nostre pastaie di via dell’Arco Basso fornivano (e speriamo tornino presto a farlo) due categorie di utenti: i semplici consumatori e coloro invece che utilizzano la pasta, per es. per usi professionali. Nel primo caso vengono in soccorso le norme sull’etichettatura della pasta fresca venduta senza imballaggi (DLGS 15 dicembre 2017, 231 “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 «Legge di delegazione europea 2015”). L’art. 19 disciplina la vendita del prodotto non preimballato e il comma 3 stabilisce che per la pasta fresca è obbligatorio riportare l’elenco degli ingredienti in un “unico e apposito cartello tenuto ben in vista … a disposizione dell’acquirente, in prossimità dei banchi di esposizione dei prodotti purché le indicazioni relative alle sostanze o prodotti di cui all’All. II del regolamento (REG UE 1169/2011)siano riconducibili ai singoli alimenti posti in vendita”.
In ultimo l’art. 20 del Dlgs 231/2017 disciplina i prodotti non destinati al consumatore prescrivendo che, qualora i prodotti siano destinati ad utilizzatori commerciali intermedi e agli artigiani per i loro usi professionali (…) “devono riportare le menzioni di cui all’art. 9, paragrafo 1 lettera a), c) ed e) del regolamento, con le medesime modalità e deroghe previste per i prodotti preimballati (..)” ovvero a) la denominazione del prodotto c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata; e) la quantità netta dell’alimento.
Insomma per preservare la tradizione barese, basterebbe un semplice cartello ed un’etichetta ben studiate, con tutte informazioni a norma di legge. A questo si potrebbe aggiungere un bel disciplinare con le regole previste dall’HACCP nonché la previsione del rilascio dello scontrino così che il combinato disposto delle soluzioni potrebbe dare l’abbrivio al New York Time per titolare “A crime of pasta has been solved”!
Il nostro contributo alla risoluzione del problema è stata pubblicato domenica, 15 dicembre dalla Gazzetta del Mezzogiorno.