L’emergenza causata dal virus nomenclato “SARS-CoV-2” o “Covid-19”, al secolo “Coronavirus”, ha acceso i riflettori anche, e forse soprattutto, sulla sicurezza sul lavoro e sulle corrette prassi da adottare qualora l’impresa non sia stata investita dalla serrata forzata dettata dal Governo e abbia operato la scelta di continuare, comunque e con coraggio, ad essere produttiva.
Quanto qui di seguito trattato riguarda principalmente i datori di lavoro delle imprese agroalimentari e di quelle a supporto della medesima filiera, rientranti di diritto nella categoria delle attività di cui all’allegato 1 Decreto Legge del 17 marzo 2020, n. 18, noto anche come Decreto Cura Italia, “motore perpetuo” della nostra economia falcidiata e rallentata dallo stato emergenziale.
L’intento è, quindi, quello di offrire spunti e chiarimenti pratici in ordine a quali siano gli adempimenti ulteriori rispetto a quelli già previsti dal T.U. in materia di sicurezza e salute dei lavoratori (D.Lgs. 81/08 e s.m.i.), riconducibili alla emergenza coronavirus.
Già con il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020 (art. 1, n. 7) si raccomandava alle attività di assumere protocolli di sicurezza anti-contagio e laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, si invitava all’adozione di strumenti di protezione individuali.
Poiché, invero, tali misure erano in gran parte di ordine generale, il 14 marzo scorso è stato sottoscritto su invito del Presidente del Consiglio dei Ministri, e dei Ministri dell’economia, del lavoro, dello sviluppo economico e della salute, di concerto con le parti sociali, il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” ed è proprio tale provvedimento che direziona la corretta strada da seguire.
Un primo ambito d’intervento deve riguardare l’INFORMAZIONE che il datore di lavoro deve rendere ai lavoratori e a chiunque entri in azienda. Nelle modalità più idonee ed efficaci occorre, quindi, informare tutti circa:
– le disposizioni dell’Autorità nel contrasto all’epidemia da coronavirus;
– l’obbligo di rimanere la proprio domicilio in caso di stato febbricitante o sintomi influenzali;
– il non poter fare ingresso o permanere in azienda laddove sussistano condizioni di pericolo e il correlativo obbligo di informare tempestivamente il datore di lavoro o un responsabile (presenza di sintomi influenzali, temperatura, provenienza da zone a rischio);
– il rispetto delle disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nell’accesso in azienda (distanza di sicurezza, regole d’igiene, corretti comportamenti).
In pratica, si suggerisce di tenere sempre aggiornati tutti gli stakeholders circa le disposizioni mediante affissione di comunicati, circolari, e depliants di pronta consultazione.
Il secondo aspetto regolato dal protocollo riguarda invece la contingentazione dell’ACCESSO IN AZIENDA. Per i DIPENDENTI, si rende necessario, dunque, sottoporsi al controllo della temperatura corporea al momento dell’ingresso in azienda. Per i FORNITORI, invece, è opportuno:
– individuare procedure d’ingresso al fine di ridurre il contatto con il personale;
– far rimanere a bordo gli autisti dei mezzi di trasporto, ove possibile, e nelle attività di carico e scarico mantenere rigorosamente la distanza interpersonale di un metro;
– individuare e mettere a disposizioni servizi igienici dedicati per chi proviene dall’esterno dell’azienda;
– far rispettare tutte le regole aziendali.
Il terzo aspetto concerne la PULIZIA E LA SANIFICAZIONE degli ambienti aziendali che deve essere giornaliera e riguardare i locali, le postazioni di lavoro e le aree comuni e di svago. In presenza di turnazione del personale, la pulizia e la sanificazione devono avvenire ad ogni fine turno e riguardare ciascuna postazione e attrezzatura di lavoro utilizzata. E’ possibile anche organizzare interventi di sanificazione particolare ricorrendo eventualmente agli ammortizzatori sociali (anche in deroga). Sul punto si evidenzia come per tali operazioni si può fruire di un incentivo sotto forma di credito d’imposta, cosiddetto bonus sanificazione previsto nel Decreto Cura Italia.
Il Protocollo, poi, ricorda le PRECAUZIONI IGIENICHE PERSONALI da adottare, in particolare per le mani, chiedendo al personale di curare la frequente pulizia delle mani e alle aziende di mettere a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani.
Il punto 6 del Protocollo rappresenta un Paragrafo cruciale. Si discute di DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (DPI), unico vero punto di contatto con il T.U. Sicurezza dei Lavoratori. Nello specifico, i dispositivi di protezione quali guanti, occhiali, tute, cuffie, camici sono ritenuti indispensabili qualora non sia possibile mantenere la distanza interpersonale di sicurezza di un metro. Ma il presidio maggiormente attenzionato è quello della mascherina, per la quale, vista la grande difficoltà di reperimento sul mercato, l’unico requisito richiesto è che corrisponda alle indicazioni dell’autorità sanitaria. Anche su questo aspetto è intervenuto successivamente il Decreto Cura Italia che ha sciolto ogni riserva sulla tipologia di mascherina che può considerarsi a tutti gli effetti un DPI, stabilendo all’art. 16 che “[…] fino al termine dello stato di emergenza […], per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all’articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio […]” Tuttavia, si precisa anche che “fino al termine dello stato di emergenza […] gli individui presenti sull’intero territorio nazionale sono autorizzati all’utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio.”
All’interno dello stesso paragrafo, sebbene tale previsione abbia poca attinenza con i Dispositivi di Protezione Individuale, è, inoltre, rintracciabile la possibilità per l’azienda di autoprodursi liquido detergente mani secondo le indicazioni dell’OMS pubblicate sul sito internet https://www.who.int/gpsc/5may/Guide_to_Local_Production.pdf.
Il Protocollo prosegue specificando come debba avvenire la GESTIONE degli SPAZI COMUNI. Primariamente, l’accesso deve essere contingentato, con la predisposizione di ventilazione continua dei locali e con tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi, sempre nel rispetto della distanza di sicurezza tra gli individui. In secondo luogo, si ribadisce l’importanza della sanificazione periodica e giornaliera dei locali e delle superfici con le quali si viene a contatto.
Le osservazioni sin qui offerte dal Protocollo si ripetono anche in ordine alla gestione contingentata dell’entrata e dell’uscita dei dipendenti, agli spostamenti interni, riunioni ed eventi che dovranno svolgersi a distanza con il supporto delle tecnologie oggi disponibili.
Particolare attenzione, invece, desta quanto indicato in materia di SORVEGLIANZA SANITARIA. Il Protocollo in questo caso non lascia spazio ad interpretazioni “La sorveglianza sanitaria deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (cd. decalogo)”; “la Sorveglianza Sanitaria periodica non va interrotta perché rappresenta un ulteriore misura si prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio”. In linea con il D.Lgs. 81/08 e s.m.i., il Protocollo ribadisce il ruolo del MEDICO COMPETENTE quale più importante collaboratore “scientifico” del datore di lavoro per scongiurare tutti i possibili i rischi sulla salute dei lavoratori. Egli, infatti, collabora unitamente al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) per integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19, e provvede a segnalare all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti affinché l’azienda, nel rispetto della privacy, possa applicare le indicazioni delle Autorità Sanitarie.
Infine, resta da segnalare che il Protocollo, così come tutti i provvedimenti sino ad oggi emanati, nulla indicano in relazione ad eventuali ulteriori adempimenti connessi alla redazione o aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). In tema, però, riveste grande rilievo pratico la nota del 13.03.2020 a firma del Direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, tesa a far luce sugli adempimenti datoriali di valutazione del rischio emergenza coronavirus. Il dott. Alestra, nel premettere che ci si trova “di fronte ad una emergenza da ascriversi nell’ambito del rischio biologico inteso nel senso più ampio del termine, che investe l’intera popolazione indipendentemente dalla specificità del “rischio lavorativo proprio” di ciascuna attività”, evidenzia come gli obblighi di effettuare una valutazione del rischio biologico specifica, di elaborare il DVR e, ove già esistente, se del caso, di “integrarlo” con quanto previsto dall’art. 271 del d.lgs. n. 81/2008, non si applichino al caso di specie. Infatti, secondo l’INL “[…] il datore di lavoro non sarebbe tenuto ai suddetti obblighi in quanto trattasi di un rischio non riconducibile all’attività e cicli di lavorazione e, quindi, non rientranti nella concreta possibilità di valutarne con piena consapevolezza tutti gli aspetti gestionali del rischio, in termini di eliminazione alla fonte o riduzione dello stesso, mediante l’attuazione delle più opportune e ragionevoli misure di prevenzione tecniche organizzative e procedurali tecnicamente attuabili.” Sembra, quindi potersi condividere la posizione assunta dalla Regione Veneto nel senso di “non ritenere giustificato l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in relazione al rischio associato all’infezione”.
Tuttavia, precisa il dott. Alestra, “ispirandosi ai principi contenuti nel d.lgs. n. 81/2008 e di massima precauzione, discendenti anche dal precetto contenuto nell’art. 2087 c.c. si ritiene utile, per esigenze di natura organizzativa/gestionale, redigere – in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente – un piano di intervento o una procedura per un approccio graduale nell’individuazione e nell’attuazione delle misure di prevenzione, basati sul contesto aziendale, sul profilo del lavoratore – o soggetto a questi equiparato – assicurando al personale anche adeguati DPI”. Peraltro, “La valutazione del rischio e le relative misure di contenimento, di prevenzione e comportamentali, infatti, sono, per forza di cose, rimesse al Governo, alle Regioni, ai Prefetti, ai Sindaci ed ai Gruppi di esperti chiamati ad indicare in progress le misure ed i provvedimenti che via via si rendono più opportuni in ragione della valutazione evolutiva dell’emergenza”.
Alla luce di ciò, quindi, l’INL consiglia di formalizzare l’azione del datore di lavoro redigendo atti dai quali chiaramente si evinca l’attenta valutazione del problema in termini di misure comunque adottate e adottabili dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale e dei presidi individuali (DPI) adottati a tutela della salute. Tale misura dovrebbe così convergere in una materiale redazione di un’appendice del DVR “a dimostrazione di aver agito al meglio al di là dei precetti specifici del D. Lgs. 81/08”, rapportata alla concreta realtà aziendale e realizzata previa consulenza e supporto del Medico Competente, del RSPP e del RLS.
Avv. Pasquale Fallacara